PRESENTAZIONE OPERA

Echi di Storia Patriottica


La composizione pittorica ripercorre i momenti salienti della storia dei nostri concittadini,(Domenico, Giannandrea, Pietro,Stefano Romeo, e Domenico Morabito) patrioti valorosi, precursori del Risorgimento italiano.

Dal punto di vista grafico sono stati elaborati dei fogli di pergamena e dei veli leggeri che emergono dal fondo dell'intera composizione, al fine di fissare il tempo e la luce, materializzandoli.

Attraverso le velature trasparenti e le penombre sfumate si vedono affiorare gli elementi figurativi di eroica memoria.

Passato e presente sono in continua osmosi!

Le entità simboliche ed i personaggi sono presenze vive e rinnovano, in senso atemporale, il significato della gesta eroiche del nostro popolo valoroso.

Dal punto di vista cromatico la scelta dei toni del rosso è stata dettata da diverse motivazioni:

-il contesto ambientale, è costituito dal colore complementare verde.

I colori rosso e verde, accostati suscitano un effetto di massimo contrasto visivo, rafforzando cosi' la luminosità dell'opera.

La gamma dei rossi indica forte emotività e rafforza l'espressione interiore dei soggetti, che partecipano al fatto storico rappresentato.

Lo spettatore, coinvolto emotivamente, diventa egli stesso protagonista della composizione;

-la gamma dei rossi fa parte della magia naturale dei colori della montagna.

Elementi figurativi e simbolici.

Sulla destra e sulla sinistra dell'opera sono rappresentati dei cavalli scalpitanti, la cui presenza simbolica è legata alla forza vitale, alla conquista, alla continuità della vita.

Il lume (posto nella parte centrale) rappresenta l'immagine della vita eterea, della fiamma spirituale che si innalza verso il cielo.

Equiparato alla forza dello spirito e alla luce la fiamma assume naturalmente il significato principale della ricerca dell'uomo anelante all'amor patrio e alla libertà.

Nella parte destra dell'opera è rappresentata la popolazione in rivolta.

Le popolazioni calabresi oppresse dalle loro miserie, volevano miglioramenti economici, il ribasso del prezzo del sale e dei tabacchi, aspiravano ad avere un po' di benessere che garantisse loro una porzione di pane con cui sfamarsi.

Il pane e il grano (sulla destra dell'opera) rappresentano da sempre il cibo fondamentale (e spesso anche l'unico) della tavola.

Il pane non era solo nutrimento ma anche alimento di cui aver cura essendo nello stesso tempo segno patrimoniale e culturale di tutto il mondo.

Sulla destra c'è la presenza discreta delle donne che collaboravano e sostenevano l'operato dei loro uomini.

Traspare dai loro volti (mentre cuciono le coccarde tricolori) l'ansia per le sorti dei loro uomini.

Nella parte centrale della composizione è presente un sacerdote:

l'inserimento di questa immagine è dovuta al fatto che la partecipazione dei preti al moto fu larga, entusiasta ed appassionata, perché sentivano nelle loro coscienza e nella loro fede, di poter conciliare Dio e la Patria, la religione e la libertà civile.

Sulla sinistra, e' rappresentato il castello di Reggio Calabria, da cui doveva partire il segnale dell'inizio della rivolta, per i dirimpettai siciliani, allo sventolio del tricolore.

Una volta marciato sulla città di Reggio, lo stesso castello venne consegnato dal principe di Aci, in mano ai rivoltosi.

Qui i capi della rivolta si costituirono in Giunta provvisoria di Governo.

Sulla sinistra è rappresentato il momento dell'arrivo delle fregate borboniche "Guiscardo" e "Ruggiero" pronte a bombardare la città di Reggio.

I capi della rivolta vennero alla determinazione di rifugiarsi sulle alture.

I rivoltosi, scoraggiati per il sopravvento della gendarmeria borbonica incominciarono a sbandarsi.

La repressione fu durissima: il 15 settembre, a seguito di un conflitto a fuoco, in contrada Cicciarello di Marrappà, nei pressi di Podàrgoni, Domenico Romeo fu assassinato e barbaramente decapitato dalle guardie urbane di Pedavoli (comune filo-borbonico), e la sua testa fu esposta nel cortile delle carceri di San Francesco a Reggio Calabria, per due giorni, quale monito per i tanti rivoltosi ivi detenuti.

Secondo Carlo Pisacane, un parente di Romeo venne obbligato a portarne la testa insanguinata da mostrare, come ammonimento, agli abitanti di Seminara.

Scriverà il nipote Pietro Aristeo, nel suo opuscolo "Cenni biografici sopra Domenico Romeo", che lo zio cadde inneggiando "all'Italia".

Domenico Romeo (Santo Stefano in Aspromonte, 1796 - Reggio Calabria, 1847) è stato un patriota italiano, martire del Risorgimento.

Fratello minore di Giovanni Andrea Romeo, crebbe in mezzo alle dolorose agitazioni che straziavano il suo paese, sviluppando amor patrio e avversione verso ogni forma di tirannide. Svolse una imponente opera al fine di risvegliare i liberali, sfiduciati e intimoriti dalle persecuzioni, in tutto il meridione d'Italia.

A seguito del fallimento della spedizione dei fratelli Bandiera, decise di preparare una rivolta che partisse proprio dalla Calabria.

Organizzò quindi il moto del settembre 1847, di cui è considerato dagli storici come l'ideatore, il promotore e il capo indiscusso. Ordì una trama tra Calabria, Sicilia e Basilicata; la congiura coinvolse i veterani della Carboneria. Il 29 agosto Domenico Romeo lanciò il proclama della rivolta, facendo sventolare il tricolore italiano sulla piazza di Santo Stefano in Aspromonte. Il 2 settembre, assieme al fratello Giannandrea Romeo, al nipote Pietro Aristeo Romeo e al cugino Stefano Romeo, alla testa di cinquecento seguaci, prese Reggio Calabria, istituendovi un governo provvisorio, presieduto dal canonico Paolo Pellicano.Tuttavia, era mancata l'unità di intenti, e il segreto era stato tradito. A muoversi furono solo i Romeo: a Messina, addirittura, il comitato d'azione locale si scisse in due tronconi, e le teste più calde e i patrioti più facinorosi tentarono, di propria iniziativa, un'azione già il 1º settembre: la rivolta era prontamente schiacciata. Mentre a Catanzaro non scoppiò neppure. Le forze regie poterono quindi agevolmente concentrarsi su Reggio. La repressione fu durissima: il 15 settembre, a seguito di un conflitto a fuoco, in contrada Cicciarello di Marrappà, nei pressi di Podàrgoni, Domenico Romeo fu assassinato e barbaramente decapitato dalle guardie urbane di Pedavoli (comune filo-borbonico), e la sua testa fu esposta nel cortile delle carceri di San Francesco a Reggio Calabria, per due giorni, quale monito per i tanti rivoltosi ivi detenuti. 

 Domenico Morabito era un povero apprendista tintore, di diciotto anni circa, da Santo Stefano.

Egli fu fucilato la mattina del 7 settembre del 1847, dopo appena due giorni dall'arrivo delle truppe regie - il pomeriggio del 4-. 

Ed il giudizio - se pur ci fu - fu molto sommario. <<Corse voce ( ma non troppo credibile) che il Morabito fosse tanto semplice, ed avesse capito cosi poco i motivi dell'insurrezione, che andò con lo schioppo a bandoliera e la coccarda sul berretto a vedere l'entrata dei soldati.>>



Pietro Aristeo Romeo (Santo Stefano in Aspromonte, 5 luglio 1817 - Santo Stefano in Aspromonte, 18 novembre 1886) è stato un patriota italiano.

Partecipa attivamente insieme al padre Giannandrea (1786 - 1862) e al cugino Stefano Romeo (1819-1869) all'insurrezione contro i Borboni in Calabria. Il movimento insurrezionale, organizzato dallo zio Domenico (1796 - 1847), ebbe inizio all'alba del 2 settembre 1847, partendo da Santo Stefano in Aspromonte alla volta di Reggio Calabria, dove gli insorti arrivarono la sera. Poiché la città di Messina si era sollevata il 1º settembre, il destino degli insorti è compromesso. Infatti il 15 settembre le guardie urbane di Pedavoli raggiungono in Aspromonte gli insorti in fuga, Domenico Romeo viene ucciso presso Podargoni (località Marrappà), dove viene decapitato ed il capo mozzo viene esposto presso le carceri di San Francesco a Reggio Calabria. Pietro Aristeo, durante il conflitto a fuoco con le forze borboniche, vendica la morte dello zio. Condannato all'ergastolo nel 1848, il re Ferdinando II concede l'amnistia. Dopo il '48 andò in esilio, assieme al padre, nel Regno di Sardegna. Soggiornò per qualche tempo a Genova, dove si laureò, presso quell'Università, in Ingegneria. Fu subito assunto presso lo studio dell'Ing. Sarti. Apprezzato per le sue qualità professionali, ottenne l'incarico di progettare e dirigere i lavoti della linea ferrata Tortona-Voghera. Nel 1859, allo scoppio della guerra d'Indipendenza contro l'Austria, lasciò lo studio dell'Ing. Sarti per arruolarsi tra i volontari del battaglione d'appoggio alle truppe piemontesi. Il 21 agosto dello stesso anno fu destinato, quale "Istruttore presso il battaglione Cacciatori", a guidare le truppe di stanza a Reggio Emilia. Due mesi dopo, ottenuta la nomina a tenente, fu inviato in missione a Rimini dal "Governo Nazionale delle Province Modenesi e Parmensi". Alla fine della guerra e fino al 1860, assieme al padre, soggiornò a Torino per collaborare ed aiutare gli emigrati politici meridionali. Dopo l'Unità d'Italia fu eletto più volte al Parlamento di Torino. Sedette, essendo un convinto cavouriano, tra i banchi della "destra storica". Ritiratosi dalla politica attiva, si dedicò alla sua azienda agricola di Basilicò e all'attività della "Fratellanza Operaia", di cui fu eletto Presidente, di Santo Stefano in Aspromonte. Si spense il 18 novembre del 1886, tra il rimpianto dei vecchi patrioti di ogni parte d'Italia e dei lavoratori della "Fratellanza Operaia" calabrese.

Fu iniziato in Massoneria nella Loggia Domenico Romeo di Reggio Calabria - intestata a suo zio- la prima fondata in Calabria dopo l'Unità d'Italia


Stefano Romeo

Nel 1847 partecipò attivamente ai moti di Reggio Calabria del 2 settembre, in seguito ai quali gli venne inflitta la pena di morte, poi sospesa. Fu quindi trasferito un mese dopo a Napoli, insieme al cugino Giannandrea Romeo e altri patrioti arrestati.

Ma il moto del 2 settembre 1847, pur uscendo sconfitto, diede il via ad un processo rivoluzionario lento ma inesorabile: produsse reazioni positive in tutta Europa e, sotto la spinta di altre sommosse, nel gennaio del 1848 il re Ferdinando II dovette liberare i prigionieri concedendo l'amnistia, la Costituzione e libere elezioni politiche. Elezioni tenutesi il 18 aprile, e dalle quali Stefano Romeo uscì come più giovane tra gli eletti e fu nominato Segretario della Camera dei Deputati.

Ma il sogno durò poco: dietro la spinta dei monarchi europei, il re revocò la Costituzione e il 15 maggio sciolse la Camera con l'intervento delle armi. Ciò determinò, per diversi giorni, la feroce rivolta del popolo napoletano, e come conseguenza dei fatti tragici che ne scaturirono, Stefano Romeo, Giannandrea Romeo e gli altri maggiori esponenti del patriottismo napoletano, furono processati e condannati a morte per "cospirazione contro la sicurezza dello Stato e attentato alla guerra civile".

Dopo aver tentato senza successo, assieme a Casimiro de Lieto e Antonino Plutino, la costituzione di un governo provvisorio in Calabria, nel 1849 andò a Roma a battersi in difesa della Repubblica Romana proclamata con a capo Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Alla caduta della Repubblica Romana (in difesa della quale, tra gli altri, perse la vita Goffredo Mameli), si recò in Toscana dove, col grado di capitano del Genio, combatté contro gli Austriaci che volevano imporre con la forza il ritorno del Granduca Leopoldo.

Nel 1850 dovette rifugiarsi a Malta e quindi andò in esilio in Turchia, da dove però si tenne sempre in contatto con altri esuli sparsi per l'Italia e l'Europa. Continuò qui ad esercitare con successo la professione di medico, nonché quella del commercio all'ingrosso di cereali, con notevolissimi guadagni, che in gran parte destinò al sostegno dei patrioti in difficoltà e all'acquisto delle armi necessarie all'impresa dei Mille di Garibaldi.

Nel 1860, alla caduta dei Borbone e con l'unione del Mezzogiorno al Regno d'Italia, poté finalmente tornare a casa.

Nel 1861 fu eletto deputato ed entrò a far parte del primo Parlamento nazionale, tra i banchi dell'estrema sinistra, accanto all'amico Garibaldi e l'anno successivo ricevette da Urbano Rattazzi l'onorificenza dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Fu rieletto nel 1865, e dovette recarsi a Firenze, nuova capitale d'Italia e quindi sede della Camera. Ma le cattive condizioni di salute e la lontananza da moglie e figli lo spinsero, nel febbraio del 1868, a rassegnare le dimissioni da deputato e a fare ritorno a Santo Stefano.

Morì a Santo Stefano in Aspromonte, il 10 agosto 1869. Per sua espressa volontà la sua tomba fu collocata nell'"orto dell'Abazia", dove tutt'oggi si trova, e sulla quale si legge la seguente epigrafe:

« DI STEFANO ROMEO QUI GIACE IL FRALE
MOLTO EI SOFFRI' MA ALFIN VINSE I BORBONI
E AI POSTERI INDISSE LA MORALE
CHE SPARIR DENNO DEI TIRANNI I TRONI »

Giovanni Andrea Romeo (Santo Stefano in Aspromonte, 1786 - 1862) è stato un patriota italiano.

Romeo aderì alla Carboneria fin dal 1811 e nel 1816 ne divenne "Gran Maestro". Organizzò e partecipò, assieme al fratello Domenico Romeo e al figlio Pietro Aristeo, alla rivoluzione antiborbonica che si svolse nel sud Italia nel settembre 1847, e ne fu lo stratega militare. Catturato, venne condannato a morte, pena poi commutata all'ergastolo, per poi essere amnistiato nel gennaio 1848. Si recò a Napoli per sostenere la Costituzione, quindi andò in Toscana e in Abruzzo dove organizzò un moto insurrezionale. Esiliato in Piemonte, lavorò a fianco di Vincenzo Gioberti. Collaborò con Garibaldi per sollevare la popolazione in Abruzzo. Nel 1851 si trasferì a Londra dove ebbe stretti rapporti con illustri patrioti italiani, come Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi. Ritornato nel 1853 a Torino, appoggiò l'idea di Cavour riguardo l'intervento del Piemonte nella guerra di Crimea. Ad unità avvenuta, entrò a Napoli al seguito di Vittorio Emanuele II re d'Italia, dove vide la figlia Elisabetta sventolare il tricolore italiano dal balcone del palazzo reale. Fece successivamente ritorno, tra tutti gli onori, al paese natìo.

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